Mi piace pensare che siano i mestieri a scegliermi, e non io a scegliere che cosa fare "da grande".
Sono quattro i miei "grandi amori" (l'archeologia, il turismo, la scrittura, l'organizzazione) e, in una qualche maniera, vivono serenamente dentro di me e insieme contribuiscono a rendermi quella che sono: un'esperienza supporta l'altra, una definisce l'altra e via così.
Possono sembrare passioni diverse, ma c'è una cosa che le accumuna: l'utilità.
Mi diverto quando passo ore a scavare nel terreno, a raccontare la storia dei luoghi, a scrivere di emozioni, a moltiplicare spazi (fisici e temporali); ma sono felice solo quando so che tutto quel che faccio è utile a qualcun altro.
Altrimenti che gusto c'è? Dopo un primo momento di soddisfazione personale, se non aggiungo quell'ingrediente prezioso, rimane il vuoto della ripetitività.
L'utilità è il lato serio e maturo del mio lavoro: sono seria quando penso di poter aiutare gli altri con quel che so fare, consapevole delle mie responsabilità e convinta della mia "missione".
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